La nascita dei cantautori
La canzone d’autore in Italia nasce in contrapposizione a un modello imperante di canzone nata al solo scopo di intrattenere e promuovere una facile evasione: una canzone senza pretese anzitutto sul piano dei testi che dunque si è progressivamente svuotata di significati per fare posto a cliché e frasi fatte. In molti hanno riflettuto sul fenomeno che rappresenta da mezzo secolo una delle tradizioni più innovative nell’ambito della musica italiana. Abbiamo messo a confronto citazioni vecchie e nuove, che esplorano un fenomeno nuovo dal punto di vista poetico, musicale e discografico:
Il termine cantautore fu coniato al principio degli anni Sessanta dai dirigenti della RCRA Italia ed andò via via definendo il proprio significato grazie al progressivo interesse della critica, la quale ne evidenziò il carattere tipicamente italiano, tanto che Alessandro Carrera poté sostenere che “la canzone d’autore non è nata in Italia, ma il cantautore si”. L’idea dei discografici fu quella di fondere le suggestioni provenienti dalla canzone d’autore francese (gli chansonnier) e statunitense (i folksinger) con quanto negli ultimi anni la canzone d’autore italiana era andata acquisendo grazie alle innovazioni portate da Domenico Modugno. Nasceva, così, un tipo di artista nuovo che doveva divenire un tutt’uno con le proprie canzoni, delle quali doveva essere autore (di musica e parole, o per lo meno di una delle due) e interprete. Una confezione musicale in linea con le tendenze del momento andava così a coniugarsi con dei testi colti, lirici, ricchi di citazioni letterarie e di riferimenti a temi del tempo presente (…)
Tra i cantautori decisi a porre al centro delle proprie canzoni i grandi temi del dibattito pubblico (…) si segnalarono subito i “genovesi” Luigi Tenco e Fabrizio De Andrè, seguiti presto dal modenese Francesco Guccini e dai milanesi Giorgio Gaber – nome d’arte di Giorgio Gaberščik – ed Enzo Jannacci. A questi, negli anni successivi si affiancheranno il bolognese Lucio Dalla, i romani Antonello Venditti e Francesco De Gregori ed il napoletano Edoardo Bennato. Nei testi di questi cantautori (…) si riscontrava un dichiarato orientamento politico verso sinistra ( si andava dai cattolici del dissenso, attraverso i radicali, la sinistra socialista e i comunisti, fino all’anarchismo) ed una esplicita volontà di entrare nei grandi temi del dibattito pubblico attraverso un confronto continuo con nodi e problemi posti dalla culture politiche del tempo: il pacifismo, l’antifascismo, le contraddizioni della società capitalistica, il conformismo borghese, la dignità della classe operaia, il dramma dell’emigrazione, il ruolo delle grandi organizzazioni malavitose e – più in generale – i problemi connessi con l’arretratezza del Mezzogiorno
Estratto da: Paolo Carusi, Viva l’Italia. Narrazioni e rappresentazioni della storia repubblicana nei versi dei cantautori impegnati, Firenze, Le Monnier 2018, pp. 9-11
… novità non da poco, improvvisamente in canzone si può parlar di tutto: il tempo, la nostalgia, la vita e la morte, la solitudine, l’incomunicabilità, il disagio esistenziale; la provincia paesana o l’alienazione metropolitana; l’arrivismo, l’emarginazione, gli squilibri sociali, il potere, la violenza, il militarismo, la guerra, la solidarietà civile: l’amore sì, ma anche il sesso e la sensualità, specie in Tenco, in Paoli, in De Andrè (…). Entrano in canzone frasi, locuzioni o vocaboli inconcepibili prima, perché troppo concreti, materiali o ‘dimessi’ (…). Si incontrano per la prima volta parole ‘inedite’, apparentemente ‘impoetiche’ come portacenere, sassi, soffitto, una di quelle, bicchiere di spuma, donne e motori, latta di birra, pattumiere, fossa comune, bidello, il bello della sera, acchiappanuvole, contagocce, mi piace vederti soffrire, mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare… persino stanza da bagno in una squisita canzone d’amore. E’ tutto un realismo poetico circoscritto, precisato, ambientato (…) L’influenza del clima esistenzalistico francese o della letteratura americana contemporanea è forte (…). Anche sul piano musicale, costoro approdano alla ‘nuova canzone’ dopo aver ben conosciuto, assimilato e amato, uno dietro l’altro, il jazz, il musical e Tin Pan Alley, il rock, la musica classica (Bindi in primo luogo), la tradizione italiana (sia popolare che d’autore, dalla canzone napoletana alla romanza al varietà), gli chansonnier francesi, il cabaret: più avanti il folk e la canzone di protesta d’oltreoceano (…)
E’ curioso come da tanti e tali radici eterogenee sia venuta fuori una forma-canzone che, dopo essersi scrollata di dosso le influenze più evidenti, ha finito per costituire un nuovo modello tutto italiano di canzone ‘nazionale’, che di fatto si distingue nel mondo anche se nel mondo non ha la popolarità che meriterebbe
Estratto da: Enrico De Angelis, “Prefazione” a Genova e la canzone d’autore, Genova, Gallery 2014 pp.6-7
Con l’aria di dire in fondo cose semplici, saranno loro, Gino Paoli, luigi Tenco, Sergio Endrigo e Bruno Lauzi, a cambiare la canzone italiana. E’ grazie soprattutto a loro che si opera definitivamente il cambio della guardia, nel mondo della canzone, e che si attua il primo vero ‘scarto linguistico’ nella norma del componimento-canzone. Ciò non accade solo nella scrittura del testo: alla ‘barcarola’, infatti, e alla ‘romanza tenorile’ si sostituiscono la melodia scarna e l’armonia raffinata. La canzone assomiglia ora più al ‘recitar cantando’ delle opere che non alle ‘arie’. Questa nuova canzone verrà chiamata ‘canzone d’autore’ non tanto, e non solo, perché presenta una qualità più alta, ma soprattutto perché si volle sintetizzare in una sola parola il doppio ruolo di questi artisti, quasi tutti anche autori delle canzoni che interpretano: ‘cantautori’, dunque, secondo una fortunata definizione coniata da Ennio Melis e Vincenzo Micocci nei primi anni Sessanta.
Estratto da: Gianfranco Baldazzi, La canzone italiana del Novecento, Roma, Newton Compton Ed., 1989, p.31
In questa rivoluzione occorre poi considerare il contributo di numerosi nuovi produttori e orchestratori, come Ennio Morricone e i fratelli Reverberi, alla costruzione di una canzone profondamente originale anche dal punto di vista degli arrangiamenti. Canzoni come Sapole di sale, Il barattolo (…) devono parte della loro vincente freschezza e fruibilità proprio alle continue invenzioni sonore di Ennio Morricone. Un risultato ottenuto anche grazie all’intervento di produttori e talent scout come Nanni Ricordi, Franco Crepax e Vincenzo Micocci che si sforzano di scegliere gli arrangiatori adatti a valorizzare le canzoni dei nuovi autori. Così la nuova canzone acquista un peso maggior perché dotata anche di un nuovo suono. Racconta Nanni Ricordi, erede della grande casa editrice musicale Giulio Ricordi e fondatore dell’omonima casa discografica nel 1958, che fino all’avvento della ‘nuova canzone italiana’, questa “era confezionata soprattutto nelle case editrici: professionisti della musica e delle parole in musica, ingredienti per il facile ascolto, ricerca del fatto che colpisce, il cantante come strumento per lanciare questo prodotto, un prodotto anonimo, per un mercato anonimo, che doveva andare bene per tutti. Sanremo e il Festival imperavano… un posto in finale, per non parlare di una vittoria, voleva dire un posto al sole… poi scoppiò una bomba: Modugno che vince il Festival con Nel blu dipinto di blu, una canzone nuova e diversa… per caso in questo stagno smosso… una piccola équipe di persone… si trovò la possibilità di costruire da zero una nuova casa discografica… e ci provammo… guardando se… c’era qualcuno che aveva qualcosa da dire, usando la canzone?”
Estratto da: Felice Liperi, Storia della canzone italiana, Roma, Rai Eri, 2011 p.63