Una casa in cima al mondo
(Pino Donaggio-Vito Pallavicini) – Pino Donaggio, 1966
Anche quella è venuta fuori d’estate, quella del 1965. Avevo detto a Pallavicini che avevo un pezzo nuovo, gli avevo mandato il nastro e aspettavo che da un giorno all’altro si facesse vivo. In quel periodo ero nella casa di campagna dei miei suoceri, in un paesino vicino a Pordenone, Budoia. Lui mi chiamò e mi disse: «Pino, vengo giù, ti ho fatto il testo per la canzone nuova». Pallavicini abitava a Vigevano, e girava sempre con un suo amico, Beppe Bottino, che lo accompagnava perché Vito aveva avuto dei problemi con gli occhi e non guidava. In realtà lui – e questo me lo ha raccontato proprio Bottino qualche tempo dopo – quando mi aveva telefonato per dirmi che sarebbe venuto non aveva ancora scritto un bel niente. E neanche io avevo scritto nulla, nemmeno il verso di attacco del pezzo. L’idea della casa in cima al mondo in realtà era partita da Vito, perché sapeva che stavo per sposarmi, e che c’era questa nuova casa che aspettava me e mia moglie a Venezia, dove saremmo andati a vivere. Prima di arrivare a Budoia Vito si ferma in un paesino lì vicino, va dentro un’osteria, tira fuori il registratore sul quale ascoltava la melodia della canzone e anche lì, di getto, scrive il testo di Una casa in cima al mondo. Poi arriva a Budoia e come se niente fosse mi dice: «Ecco il testo». Io lo provo subito al pianoforte, lo canto: perfetto. Mi piaceva moltissimo e credo che le strofe siano una delle cose più belle che ha scritto, sono molto poetiche.
Faccio ascoltare il pezzo a Milano, piace a tutti e decidiamo di tornare a Sanremo. E per la seconda volta entra in campo Mina, perché è con lei che avrei dovuto fare Sanremo. Mina aveva giurato che non ci avrebbe messo più piede, era rimasta scottata dall’esperienza del 1961, dove non era stata apprezzata per le sue due canzoni, e diceva sempre che con Sanremo aveva chiuso. Io la chiamai e le dissi che avevo una canzone nuova da farle ascoltare, ci incontrammo e mi ricordo benissimo che Mina, mentre ascoltava la canzone che stavo cantando accompagnandomi con il pianoforte, si era commossa, le erano venute le lacrime agli occhi. Dopo un po’ di giorni venne alla Curci e mi disse: «Vengo a Sanremo con te». Si era convinta perché la canzone le piaceva moltissimo, subito decise di registrarla, e secondo me se fosse venuta con me a Sanremo, beh, credo che avremmo vinto alla grande, perché lei era in un momento di grazia, ancora più popolare per via della televisione, dove stava avendo un enorme successo con Studio Uno. Poi col passare delle settimane ha cominciato a ripensarci, gli era venuta una specie di paura di andarci e alla fine mi disse: «Pino, mi dispiace, ma non ce la faccio a venire. È più forte di me. Però ti prometto che te la canto una settimana dopo il Festival, quando andrò ospite dello show televisivo di Caterina Valente».
A quel punto rimaneva un posto scoperto, perché la presenza di Mina era ormai stata ufficializzata con l’organizzazione e allora Gianni Ravera pensò a Claudio Villa, che era un suo amico e che era rimasto fuori dal Festival, non so se perché la sua canzone era stata bocciata o per qualche altro motivo. Ravera gli fa ascoltare la canzone, Claudio la prova e poi dice: «È la più bella canzone italiana che ho mai cantato». Però i miei fans e i suoi fans non erano tra di loro compatibili, nel senso che erano due pubblici molto distanti, ed in questo non ci aiutammo a vicenda nell’ottenere i voti necessari per un piazzamento nei posti d’onore, e arrivammo quarti. Invece la canzone andò bene nelle vendite: ce n’erano tre di versioni, la mia, quella di Villa e quella di Mina, e fu la mia a vendere di più, di gran lunga. Se tutte e tre insieme arrivarono a 250.000 copie la mia versione da sola ne fece almeno 130.000, poi 80.000 quella di Mina e il resto, sulle 40.000 copie, per la versione di Claudio.
Estratto da: Ceri, Luciano, Tre minuti di musica (cantati da cane). Conversazione con Pino Donaggio, in «Musica Leggera», n. 7, Dicembre 2009, p. 26