Pubblicato il
29-06-2023

Andavo a cento all’ora

Andavo a cento all’ora

(Camucia [Franco Migliacci]-Tony Dori) – Gianni Morandi – 1962

Proprio tra Bellaria e San Mauro Mare, un giorno d’estate, ebbi l’incontro decisivo con l’ex arbitro di pugilato Paolo Lionetti. Oltre a essere stato uno sportivo, Lionetti era commerciante di olii lubrificanti e gestiva anche un centinaio di juke-box, che aggiornava rifornendosi al «Disco d’Oro» di via Indipendenza a Bologna. Si trattava di sostituire ogni volta 70-80 dischi a 45 giri, e il proprietario del negozio era diventato un suo amico. I due, forti degli ottimi rapporti con le case discografiche, un giorno decisero di scrivere a un conoscente della RCA per ottenere un appuntamento. Assicurarono di avere per le mani un «fuoriclasse». Con il suo spavaldo stile da guascone romagnolo, Lionetti mi disse subito chiaramente che alla mia carriera ci avrebbe pensato lui: «Vai tranquillo che facciamo successo e se non ce la fai a sfondare con le canzoni, puoi sempre diventare un pugile: sì, con quelle mani grandi e quelle braccia lunghe puoi essere un bel peso piuma… Perché quando io ho arbitrato Robinson per il titolo mondiale…». E mi raccontava i suoi episodi gloriosi sul ring. «Io ti faccio diventare un divo, ti faccio fare l’attore…». Più avanti seppe che Celentano mi aveva contattato perché mi voleva nel suo Clan: «Tu non ci vai! Io ti spacco la faccia perché quello lì ti vuole mettere sotto, vuole sempre essere lui il numero uno e invece un giorno sarai tu il numero uno!». Un’altra volta minacciò di spararmi alle gambe se avessi accettato di fare un film con Bellocchio. Poi mi sfidava per vedere quanti piatti di tagliatelle riuscivo a mangiare. Venendo da una famiglia povera, non mi capitava spesso di mangiare un piatto di tagliatelle ricolmo di ragù: sentivo quindi di poter vincere qualunque scommessa, arrivando a mangiarne anche cinque piatti.

            Lionetti mi portò a Roma per un provino. La RCA era una casa discografica americana, la cui filiale italiana era stata voluta dal Vaticano per offrire posti di lavoro nella crisi del dopoguerra. Venne aperta a Roma nonostante il polo discografico italiano si trovasse a Milano. Galeazzi Lisi, uomo del Vaticano che aveva il compito di formare il direttivo, mise alla guida dell’azienda Ennio Melis, che proveniva da un’educazione gesuita, il quale si dimostrò molto capace e generò in pochi anni straordinari fatturati, superiori a quelli di tutte le altre filiali europee, confermandosi  in breve tempo il miglior discografico d’Europa. Melis ebbe il merito di creare un parco artisti di tutto rispetto e di inventare, grazie ai musicisti che sceglieva, addirittura un «suono Rca» riconoscibiie e superiore a quello di tutte le altre etichette. Penso anche a questo, quando ripercorro il tragitto del mio destino: «Se mi avessero portato a Milano, in un’altra casa discografica, quale percorso avrei fatto? Altri autori, altre canzoni, altra vita…». Io e Lionetti partimmo per Roma sulla sua Fiat 1100. Alloggiammo nella zona di piazzale Clodio, alla pensione Busso. Fu lì che si verificò un altro fatto davvero curioso: conobbi infatti una ragazza che alloggiava nella stanza accanto alla mia e che era appena arrivata da Torino con la madre. Si chiamava Rita Pavone. Entrati alla Rca, mi sembrò di essere in un altro mondo. I dischi si facevano in uno stabilimento così grande? E quanta gente ci lavorava! Cominciammo il provino. Era giovedì, l’unico giorno della settimana in cui si tenevano i provini. Mi dissero che non cantavo male ma che il mio accento emiliano era troppo marcato. Quindi il mio provino venne archiviato insieme ad altri non particolarmente entusiasmanti.

            Ma ancora una volta il destino aveva deciso al di là dei gusti e delle opinioni: un autore toscano presente alla mia prova mi notò. Era Franco Migliacci. Il suo ruolo di talent scout prevedeva che fosse sempre molto attento a quello che arrivava alla RCA e un giorno, valutando una canzone che faceva «Andavo a cento all’ora per trovar la bimba mia…», scritta da un minatore emigrato in Belgio, tale Tony Dori, si chiese chi avrebbe potuto cantarla. Serviva un interprete giovane e simpatico, con grinta da vendere. Mentre pensava a qualcuno che potesse esprimere al meglio quella canzonetta senza pretese, un piede gli s’impigliò in un nastrino Geloso caduto dallo scaffale dell’archivio. Perché rifiutare i suggerimenti del destino? Franco decise immediatamente di ascoltare quel nastro e sentendolo si ricordò di me e del mio provino. Da quel giorno il maestro Migliacci, pilastro della canzone popolare italiana, divenne mio produttore, autore e amico».

Estratto da: Morandi, Gianni (con Michele Ferrari), Diario di un ragazzo italiano, Milano, Rizzoli, 2006, pp. 91-94