Il Napoletano, prima lingua della canzone
Il Napoletano, prima lingua della canzone
L’Italia è l’unica nazione al mondo ad avere due distinte tradizione letterarie, ha scritto lo studioso inglese Zygmunt Barański: una in italiano, l’altra in dialetto. La stessa cosa si può affermare per la canzone dove fra i dialetti spicca per longevità e autorevolezza la tradizione napoletana.
Da metà Ottocento fino agli anni Venti questa tradizione ha dominato il panorama nazionale in assenza di un repertorio “in lingua” producendo capolavori che hanno fatto il giro del mondo, entrando nel repertorio dei principali interpreti non solo “leggeri” ma anche – o soprattutto – “classici”, vista l’affinità che queste canzoni concepite per il “bel canto” mostrano con la romanza operistica e da salotto. John Rosselli ha scritto che la canzone napoletana è ciò che mezzo mondo pensa sia la musica italiana e la prova è data dal primo successo targato Napoli: Te voglio bene assaje (parole di Raffaele Sacco, 1839). Un tormentone – a lungo erroneamente attribuito a Donizetti - che in poco tempo si diffuse in tutta Europa generando numerose versioni in altre lingue. Il primo importante autore di canzoni fu Salvatore Di Giacomo, poeta e drammaturgo, qui rappresentato da due sempreverdi come Era de maggio (musica di Pasquale Mario Costa, 1885) e Marechiare (musica di Francesco Paolo Tosti, 1886). Il secondo fu Libero Bovio, che operò nei primi anni del secolo anche sul versante della canzone in lingua (Cara piccina, Signorinella). Sue sono perle come Reginella (musica di Gaetano Lama, 1917), Lacreme napulitane (musica di Francesco Buongiovanni, 1925), l’inno degli emigranti, e ‘O zappatore (musica di Ferdinando Albano, 1929), apoteosi della “sceneggiata”. Elegante e raffinato è il poeta e giornalista Ferdinando Russo (Scetate, 1887), mentre la tradizione della canzone comica raggiunge l’apice nella produzione di Gigi Pisano (Ciccio formaggio), spesso in collaborazione con Giuseppe Cioffi, autori di classici come Agata, La pansè e ‘Na sera ‘e maggio. Il cafè-chantant, con i suoi accenti fortemente teatrali, è rappresentato da Lili Kangy (parole di Giovanni Capurro, l’autore di ‘O sole mio, musica di Salvatore Gambardella, 1905). Dall’America proviene un successo come Core ‘ngrato (musica di Salv. Cardillo 1911), scritto da Riccardo Cordiferro, emigrato a 17 anni, animatore della comunità italoamericana che lo affidò alla voce di Caruso. Pochi anni più tardi, in piena Guerra, si diffonde ‘O surdato ‘nnammurato (1915), testo di Aniello Califano (Tiempe belle, Ninì Tirabusciò) musica di Enrico Cannio. Qui è presentata in una versione a cappella, in ricordo di quando veniva cantata in trincea, dove la canzone napoletana era parte di quel repertorio degli alpini che costituì il primo canzoniere nazionale. Un altro poeta (e musicista) napoletano che mise il suo sigillo sui canti di guerra fu E.A.Mario con la Leggenda del Piave, rappresentato da un brano che segnò fortemente la Seconda Guerra: Tammuriata nera (musica di Edoardo Nicolardi, il genero, 1944). Negli anni Cinquanta il repertorio si arricchisce di termini stranieri - Tu vuo’ fa’ l’americano, di Nisa, al secolo Nicola Salerno (Tango del mare, La strada nel bosco, Non ho l’età), che con Carosone forma un binomio di successo: Torero, Caravan Petrol,‘O sarracino) – ma è sempre il tema d’amore al centro della canzone napoletana, come testimoniato da due “outsider” come Totò, autore di Malafemmena (1951) e l’attore e regista Riccardo Pazzaglia (Io mammeta e tu, Meraviglioso) che firma Lazzarella (musica di Domenico Modugno 1957).