Grazie Roma
(Antonello Venditti) – Antonello Venditti, 1983
Il primo a mettere piede nella nuova casa fu il caro vecchio pianoforte Anelli su cui avevo composto Sora Rosa, con i tasti laterali bruciati dalle sigarette perché da sempre suono tutto in posizione centrale. Dopo entrai io, staccando il primo passo fuori dal pantano. Guardai i tetti della mia città, quelli che sognavo di notte in Stukas, gli stessi che avevano ispirato La sera dei miracoli di Dalla. Poggiai i polpastrelli sui tasti e uscì Grazie Roma.
Mi prese un colpo. Avevo la percezione che mi stesse capitando qualcosa di meraviglioso e scoprii che si può piangere di gioia. Era una canzone in cui finalmente non mi prendevo in giro. Non ero stato attento alle parole, al modo di esprimere la mia angoscia, ma l’avevo cavalcata e le parole erano uscite da sole, vere. È meraviglioso ancora oggi cantarla. Quello che rovina tutto nella musica è il tempo, la negazione della libertà dell’uomo: se potessi scegliere, la suonerei lentissima.
Grazie Roma nasceva per gratitudine verso la città e verso la mia squadra, essendo le due inscindibili. La composi a novembre del 1982, la registrai l’8 marzo del 1983. Avevo fede. Sentivo che la Roma avrebbe vinto lo scudetto, altrimenti non mi sarebbe capitata una cosa simile.
Il concerto del Circo Massimo, giorno in paradiso 15 maggio 1983, segnò la fine dell’incubo. Fu lo scoppio di una galassia d’amore, una particella dell’emozione cosmica che solo il calcio e la musica sanno generare insieme. Io che sono sempre stato un solista fui travolto dalla potenza del sentimento della condivisione. Da allora la mia vita è cambiata. Sono diventato aperto, la faccia sempre esposta al sole. Ancora me lo porto addosso quel rosone dorato del Circo Massimo, mi fa andare avanti, mi proibisce di rabbuiarmi anche per le questioni più gravi.
Estratto da: Venditti, Antonello, L’importante è che tu sia infelice, Milano, Mondadori, 2009, pp. 92-93