Pubblicato il
28-06-2023

Mina, la voce dell’italiana moderna

Mina, la voce dell’italiana moderna

Il modo in cui Mina affronta questa canzone [Il cielo in una stanza], questo flusso melodico e testuale privo dei punti di ancoraggio tradizionali, è veramente straordinario. Ha alle spalle un’esperienza tutto sommato brave, nella quale ha interpretato canzoni quasi esemplari per la loro adesione a schemi formali canonici (Tintarella di luna è una canzone chorus-bridge con tanto di verso introduttivo) riempiendoli dei sui vezzi da rockeuse sbarazzina: singulti, le “u” chiuse tanto di moda, effettacci, insomma.

Ricostruisce la curva emotiva del testo di Paoli con un talento da grande attrice (in questo senso davvero paragonabile a Maria Callas), con una dizione equilibrata, mettendo una tecnica vocale evidentemente maturata rispetto agli esordi al servizio di una naturalezza sorprendente. Modugno era diverso da Claudio Villa, ma aveva un suo birignao; ognuno dei cantautori aveva un suo tic, una voce un po’ spenta, un singhiozzo alla moda: la Mina di Il cielo i una stanza è la voce dell’italiana moderna, allo stesso modo in cui, improvvisamente, quindici anni prima, gli americani si erano accorti che la voce di Frank Sinatra era quella che tutti avrebbero voluto avere. Come Sinatra del resto, Mina taglia le frasi senza indulgere sulle vocali finali, trasforma i singulti in increspature lievi, controlla l’emissione aderendo al testo, sa ottenere variazioni di intensità attraverso la pronuncia e non solo col volume. L’accompagnamento, come si è detto, riduce addirittura la sua presenza; Mina, però, non canta più forte per compensare quel ‘vuoto’: arrota le erre dell’ “armonica” e dell’ “organo che vibra”, trasformando quella ripetizione (che evita tutti gli artifici delle retorica canzonettistica: il crescendo, la modulazione un tono sopra) in un finale trionfale.

Estratto da: Franco Fabbri, Il cielo in una stanza, in AA. VV. Mina. Una forza incantatrice, a cura di Franco Fabbri e Luigi Pestalozza, Euresis, MI, 1998, pp. 38-39.