L’Italia canta inglese

L'Italia canta inglese

Con l’arrivo del rock ‘n’ roll, nei tardi anni Cinquanta, la canzone italiana ha cominciato a parlare in inglese. Fu grazie a una nuova generazione (guidata da Mina e Peppino Di Capri) che il monopolio linguistico cominciò a sgretolarsi in direzione di quella che decenni più tardi si sarebbe chiamata “globalizzazione”. La raccolta comprende canzoni in lingua inglese composte e interpretate da artisti italiani, accanto ad alcune cover in un arco di tempo che va dalla metà degli anni Ottanta a oggi. L’Italo-disco, riverita in tutta Europa come un originale sottogenere della disco music, fu il primo importante segnale di questa sprovincializzazione. A aprire le danze furono i fratelli La Bionda (She’s Not a Disco Lady, 1978) che con lo pseudonimo D.D.Sound (Disco Delivery Sound) riempirono le piste da ballo alla fine degli anni Settanta. Da un cantautore agli esordi, Raf, arrivò una imprevedibile hit internazionale: la sua Self Control (1983) nella versione di Laura Branigan raggiunge il quarto posto negli USA e il quinto in Gran Bretagna. Survivor (1984) è il singolo di debutto di Mike Francis, al secolo Francesco Puccioni, che scalò il quinto posto da noi ed ebbe una notevole circolazione radiofonica. Il 1984 è stato un anno di grazia per la canzone esterofila: anche il gruppo new wave dei Novecento si presentava in inglese e fece sensazione con il singolo d’esordio (Movin’ On), centomila copie vendute. L’ambizione di estendere il proprio pubblico con un sound cosmopolita e produzioni in lingua inglese paga per tutto il decennio, come dimostrano il successo di Tarzan Boy (1985) della meteora Baltimora (gruppo milanese da studio centrato su un cantante/ballerino inglese) rimasto per sei mesi negli Hot 100 americani, e delle sexy dancers che spopolarono in Europa a fine decennio: Sabrina – Boys (1987) fu terza nel Regno Unito e prima in Svizzera per cinque settimane - e Spagna  - Call Me (1987) arrivò seconda nel Regno Unito, fu disco d’argento in Francia e sfiorò i Top Ten nella classifica dance degli USA. Anche il debutto di Jovanotti (Gimme Five) conquistò la vetta della Hit Parade inaugurando il rap all’italiana. Una menzione a parte merita il variopinto mondo del post-punk bolognese, di cui è espressione una stralunata cover dei Doors (Hello I Love You, 1980) nell’album d’esordio degli Stupid Set. A cavallo del secolo si ripropone la dance al femminile di Alexia (Summer Is Crazy, 1996) - prima in Italia, 2° in Spagna e nei Top 30 in vari paesi europei – e delle Lollipop, gruppo formatosi in tv, che con Down Down debuttarono al primo posto della Hit Parade, vendendo 120 mila copie. Identica sorte per Elisa che, sotto la guida di Caterina Caselli, sceglie da subito di esprimersi in inglese. Heaven Out of Hell (2001) è tratto dal suo terzo album. A cavallo del millennio emergono due gruppi da subito annoverati nell’aristocrazia dell’Eurodance: i torinesi Eiffel 65 e i liguri-napoletani Planet Funk. I primi s’impongono in tutta Europa con Blue (Da Ba Dee) (1999), primo singolo italiano a svettare nella classifica europei degli Hot 100 (dopo Senza una donna di Zucchero); i secondi esordiscono con un disco d’oro che contiene quattro singoli di successo, fra cui Chase the Sun (2002). L’anima soul dell’Italia globale è espressa da Zucchero, la cui ispirata cover di un classico degli anni Ottanta, Wonderful Life (2007) entrò nei Top Ten italiani e croati, e Mario Biondi, con un esordio promosso da BBC Radio, This is What You Are (2006). Infine, il rock alternativo dei Lacuna Coil, presto accolti nel circuito mondiale del metal: la loro cover di Enjoy the Silence, dei Depeche Mode (2006), arrivò al 41° posto nel Regno Unito, là dove nel 2021 sbanca la rivelazione Maneskin a partire da Beggin’ (cover dei Four Seasons) che conquista la vetta degli ascolti su Spotify nel mondo.

 

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