È stata la voce del tempo di guerra, quella che importò dall’America la voga del canto sincopato. Alberto Rabagliati (1909-74), per tutti “Raba”, rappresenta un caso di “talento in fuga” che ha successo da noi solo dopo essere stato scoperto all’estero: fotogenico e di bella presenza, vince un concorso bandito dalla Fox per trovare il sostituto di Rodolfo Valentino e vola a Hollywood. Ma la sua carriera non decolla ed è costretto a fare le valigie. Ha il tempo però di assimilare le danze e le musiche che segnarono l’Età del Jazz.
Decide allora di studiare il violino e nel 1931 viene scritturato dall’orchestra di Pippo Barzizza. Presto però abbandona per inseguire il suo sogno, quello di cantante, e fugge a Parigi. Lì incontra il direttore d’orchestra Ernesto Lecuona che lo ingaggia per la sua tournée italiana, per poi portarlo con sé a Cuba.
E’ la svolta. Incide dischi in spagnolo e in inglese e torna di nuovo in Italia da protagonista, come cantante dei Lecuona Cuban Boys. A convincerlo a restare sarà il concittadino Giovanni D’Anzi, autore di successo, che lo introduce negli ambienti dell’Eiar e della Cetra. La sua carriera decolla all’istante e Rabagliati diventerà il primo divo della canzone anche grazie alla radio e a direttori d’orchestra in grado valorizzarne il senso del ritmo.
La simpatia e il fascino che esercitava sul pubblico – specie femminile – gli aprirono anche le porte del cinema e del teatro musicale. Nonostante il regime non guardasse di buon occhio le tendenze esterofile, con lui la canzone italiana assimilò ritmi e stili d’Oltreoceano contribuendo a sprovincializzarla.