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Riposino in pace
Il tema della morte campeggia nell’arte, nella letteratura, nella poesia di tutte le epoche. Non altrettanto nella canzone, che privilegia emozioni spesso effimere, di segno positivo e quando cambia registro – sofferenza, disperazione - è per un amore finito male. Più raramente per piangere chi non c’è più. Un’eccezione a questa regola la troviamo nella produzione dei cantautori, che la morte hanno trattato spesso, dagli anni Sessanta a oggi.
Questa raccolta è introdotta dalle sonorità “medievali” di un giovane De Andrè che con La morte (1967) riadattava un brano di George Brassens (“La morte verrà all'improvviso, avrà le tue labbra e i tuoi occhi”) e prosegue, sempre nello spirito dei secoli bui, con il Branduardi di Ballo in Fa diesis minore (1977) ricalcato sull’antica danza Schiarazula Marazula (“Sono io la Morte e porto corona, io son di tutti voi signora e padrona”). Quindi, la morte comincia a prendere le sembianze di persone care che ci hanno lasciato: la madre per Francesco Renga (Tracce di te, 2014), il padre per Carmen Consoli (Mandaci una cartolina, 2009), il fidanzato per Giorgia (Gocce di memoria, 2003, dedicata al cantautore Alex Baroni). Poi ci sono gli amici e i destinatari non meglio identificati, oggetto di elegie struggenti nelle quali spesso gli autori hanno dato il meglio di sé: da Francesco Guccini, con il brano che apriva i suoi concerti (In morte di S.F.- Canzone per un’amica, 1967) a Pino Daniele (Stare bene a metà, 1997), da Vasco Rossi che dedica Gli angeli (1996) a un amico morto di cancro a Ligabue che canta “M'abituerò a non trovarti/M'abituerò a voltarmi e non ci sarai” (M'abituerò, 2012).
Nel finale fanno la comparsa due artisti e intellettuali controcorrente come Luigi Tenco, a cui l’amico De Andrè dedica Preghiera in gennaio (“Signori benpensanti, spero non vi dispiaccia / se in Cielo in mezzo ai Santi, Dio fra le sue braccia / soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte / che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”, 1967) e Pier Paolo Pasolini, nell’omaggio di Giovanna Marini (Lamento per la morte di Pasolini, 1975) elaborato a partire da un canto religioso degli Abruzzi. Il finale, irriverente, è affidato a Niccolò Fabi, che in Rosso (1997) sogna di morire per vedere chi verrà al proprio funerale.