CANZONE POLITICA
Radicato nella fase embrionale della canzone italiana (seconda metà dell’Ottocento) il sottogenere ‘politico’ riparte con grande fervore nel secondo dopoguerra, dopo una stasi forzata durante il Ventennio, e vive la sua stagione d’oro fra i tardi anni Sessanta e il decennio ‘di piombo’ – quegli anni Settanta segnati da rivolte, stragi, attentati e quant’altro si proponeva di minare l’ordine costituito. Una nuova canzone politica si delinea in seno al movimento del folk-revival, il cui approccio alla cultura contadina e ad altre tradizioni in via di estinzione ha privilegiato per l’appunto il registro oppositivo nei confronti della cultura dominante. Se fino ad allora il repertorio a disposizione di partiti e associazioni era quello ereditato dal canzoniere sociale di stampo ottocentesco - solo in minima parte aggiornato durante il Novecento - una nuova proposta nasce in simultanea con la formazione dei primi movimenti di protesta (studenti, operai) e assimila le influenze poetiche e musicali del momento. Fra queste spicca la canzone d’autore, che ha indicato un modello sia compositivo sia performativo destinato a perpetuarsi ben oltre la contingenza storica. Un altro pilastro è la canzone popolare, intesa come folk, ovvero prodotto ‘funzionale’ forgiato nell’alveo di tradizioni pre-industriali. Molti esempi di canzone politica si richiamano a repertori dialettali e fanno uso di melodie pre-esistenti rinnovando una modalità tipica delle culture orali. Infine il cabaret, e più in generale il teatro, hanno esercitato una forte attrazione per la componente gestuale e dialogata, che esalta il valore dei testi e, nei suoi momenti più spettacolari, incrocia altre esperienze musicali dell’epoca quali ad esempio il rock - dapprima il filone progressivo quindi quelli punk e post-punk. A partire dagli anni Novanta una spiccata vocazione politica la si riscontra in generi importati come rap, reggae e derivati, che innestano suoni e ritmi globali su problematiche locali.