Pubblicato il
01-07-2023

C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones

L’autore della musica è Mauro Lusini, mentre Franco Migliacci aveva scritto quelle parole in dieci minuti tra il primo e la pietanza, in una tipica osteria di Roma.
C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones

(Mauro Lusini-Franco Migliacci) – Gianni Morandi, 1966

L’autore della musica è Mauro Lusini, mentre Franco Migliacci aveva scritto quelle parole in dieci minuti tra il primo e la pietanza, in una tipica osteria di Roma. Franco le aveva scritte per lui, che di lì a poco avrebbe inciso il disco. E Mauro era fiero. Capiva di avere finalmente la grande opportunità di farsi notare sulla scena di quegli anni. Ma io ci misi tutta la mia testardaggine di montanaro per far sì che la canzone fosse lasciata a me. I discografici della RCA si opposero. Il direttore, Ennio Melis, che fino a quel momento era stato uno degli artefici del mio successo, disse che sarebbe stata la mia rovina: Morandi non può cantare una canzone così rivoluzionaria. La gente vuole un Gianni romantico, sorridente, l’eterno spensierato giovincello che si incontra sotto casa, non un indolente sobillatore. La contestazione la facessero altri! Io tenni duro come non mai fino a quando, nel dicembre 1966, al Festival delle Rose presso l’Hilton di Roma, venni minacciato di essere oscurato dalla Rai se avessi cantaro le parole «Vietnam» e «Vietcong». Fu a quel punto che diedi a tutti la mia scossa. Ecco come.

Prima dell’esibizione, Migliacci fu raggiunto dall’ira di Melis, il quale gli passò al telefono i dirigenti RAI che gli imposero di cambiare il testo della canzone in quel punto critico. Dissero che avevano già una soluzione: mettere «Corfù« e «Cefalù» al posto di «Vietnam» e «Vietcong». Cefalù? Corfù? Ma stiamo scherzando? Migliacci non poteva accettare una simile presa di posizione, anche se la pena era l’oscuramento e non solo: si arrivò a dire che il nostro Paese, per voce di uno dei più popolari interpreti della canzone, non poteva permettersi di schierarsi contro una nazione amica. Migliacci e Morandi rischiavano addirittura il ritiro del passaporto. In fretta e furia Franco mi raggiunse in camerino poco prima della diretta. Chiuse la porta e velocemente mi illustrò la situazione. Non c’è niente da fare: quando il talento è così talento, le difficoltà possono solo ravvivarlo. Franco, calmissimo, mi disse: <<Facciamo cosi. lnvece che Vietnam e Vietcong, canterai: M’han detto vai ta-tatà e spara tatatà… tara-ta-ta-ta, tara-ta-ta-ta». Io recepii il messaggio e mi presentai sul palco. Entrando mi accorsi della presenza di ombre minacciose nascoste tra le quinte del teatro. Ero circondato da tutto lo stato maggiore musical-televisivo di quegli anni, uno schieramento che mi procurava eccitazione. Arrivò finalmente il mio turno, si spensero le luci e vidi la lucina rossa dell’enorme telecamera in attesa che l’inquadratura si riempisse con il mio bel faccione. Un senso di potenza mi invase e diede finalmente un significato all’adrenalina che circolava in me. Si accese un fascio di luce bianca che i miei occhi non temettero. Finì l’applauso, partì l’orchestra e io seppi di avere in gola un urlo che sarebbe andato lontano. «C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, girava il mondo, veniva dagli Stati Uniti d’America…» La prima strofa la completai come volevano loro. Aborrii il pericoloso focolaio della discordia. Ubbidii censurando la divulgazione di quel guaio asiatico, cantando il «ta-tatatà» concordato con Franco. Ma quella troncatura castrava troppo la canzone, la rendeva troppo banale. Mi sentivo come dai Salesiani, represso dalla disciplina di un collegio. La prima canzone per cui avevo lottato cosi tanto… ma dai, questo non si poteva fare! «Non ha più amici, non ha più fans, vede la gente cadere giù…» A quel punto, letteralmente trasportato dalla forza del brano, improvviso un movimento ad arte per dare le spalle alle telecamere. Incrocio nel buio il riverbero del colletto della camicia di Franco, incontro i suoi occhi e gli spalanco addosso i miei. Segnale trasmesso. Mi volto nuovamente di fronte al pubblico e ho tutta la forza per tirare diritto: «Nel suo Paese non tornerà, adesso è morto nel Vietnam! Stop coi Rolling Stones, stop coi Beatles stop!». L’urlo esce magnifico ed equilibrato, si innalza imperioso gravando su tutta l’arena. L’avevo detto, avevo detto «Vietnam»! L’avevo detto e avevo lanciato lassù quella perfetta armonia di musica e parole. Che incredibile senso di superiorità! In quegli anni, poi; sfidare così l’autorità dei ministri, dei notabili difensori delle istituzioni. Naturalmente accadde un putiferio. La destra si schierò contro di noi e la sinistra a nostro favore. Nonostante l’azzardo di aver sfidato il sistema, in seguito Migliacci fu nominato garante dello sbarco di Mogol e Battisti in America. Incredibile.

 

Estratto da: Morandi, Gianni-Ferrari, Michele, Diario di un ragazzo italiano, Milano, Rizzoli, 2006, pp. 23-25